Considerazioni dopo aver letto il copione di Sacrificio.
Ho letto con attenzione e interesse
il manoscritto. Non sono un esperto di teatro e delle sue evoluzioni
contemporanee e non riesco pertanto a immaginare come avverranno i mutamenti di
scena che dallo scritto mi richiamano piuttosto una sceneggiatura di tipo cinematografico.
Sono curioso pertanto di vederne la messa in scena.
Nel merito il lavoro mi
sembra rovesciare molti luoghi comuni collaudati della letteratura e della
morale. Anzitutto quello antico che suona: “Bonum ex integra causa, malum ex
quacumque defectu”, basta anche un piccolo difetto per trasformare il bene in
male. Qui, nella vicenda che state proponendo, si ha l’impressione che il male
è talmente pervasivo da non lasciare spazio al bene nemmeno in minima parte.
Non lascia intravedere nessun elemento catartico collegato al sacrificio, in
quanto la/le vittima/e non è (sono) tanto il/i più buono/i che accetta(no)
consapevolmente e volontariamente il sacrificio quanto piuttosto quello/i che
si ostinano a non aprire gli occhi di fronte alla realtà che pure sembra
evidente. Mi è venuta in mente la mia nonna quando diceva che “no gh’è pù orbo
de quel che no vol veder”.
C’è poi una mescolanza piuttosto intrigante tra il “verosimile” e l’ “ idealtipico”. Quest’ultimo, infatti, portato agli estremi, sacrifica coerentemente il primo. E i personaggi sono tutti degli idealtipi. Così come il tempo meteorologico costantemente al brutto senza mai spiragli di sereno, come pure l’altrettanto ricorrente e ostinata presenza di alterazioni alcooliche, stemperano il verosimile correndo il rischio di rendere difficile un processo di identificazione dello spettatore, mentre facilitano un trasferimento su qualcun altro da sé.
C’è poi una mescolanza piuttosto intrigante tra il “verosimile” e l’ “ idealtipico”. Quest’ultimo, infatti, portato agli estremi, sacrifica coerentemente il primo. E i personaggi sono tutti degli idealtipi. Così come il tempo meteorologico costantemente al brutto senza mai spiragli di sereno, come pure l’altrettanto ricorrente e ostinata presenza di alterazioni alcooliche, stemperano il verosimile correndo il rischio di rendere difficile un processo di identificazione dello spettatore, mentre facilitano un trasferimento su qualcun altro da sé.
Significativa poi mi sembra
l’afasia e l’insignificanza sullo svolgersi degli eventi che portano al
sacrificio della vecchia generazione dei genitori. Paiono non aver più niente
da dire alla generazione che pure hanno messo al mondo. O forse è il modo con
cui li hanno messi al mondo che li rende afasici? Il testo, infatti, semina
indizi che potrebbero essere inquietanti a questo proposito. C’è quasi
un’impossibilità fisiologica, nella madre soprattutto, di trasmettere memoria.
O forse è la memoria inquieta che si nega al futuro generazionale?
Vuole essere, questo
“sacrificio”, uno schiaffo a una realtà provinciale priva di orizzonti e di
prospettive? (L’aver scelto, però, la lingua italiana e non un dialetto può
significare che si vuol andar oltre i limiti del provincialismo o quantomeno
oltre un singolo dialetto di una valle per allargarsi a tutta la realtà
provinciale). E’ vero che uno schiaffo ben assestato può “svegliare” qualcuno,
ma può anche “‘nsemenìr” (non riesco a trovare nella lingua italiana un verbo
che renda l’idea allo stesso modo – come spesso succede il dialetto è più
ricco) qualcun altro.
Il mio augurio e il mio
auspicio è che questo “sacrificio” faccia da sveglia.
Grazie per questo commento ricco di spunti! Trovo che nel testo il sacrificio maggiore, oltre a quello del bene, sia quello della verità. Proprio questa sera al gruppo di lettura in biblioteca abbiamo parlato di anni di piombo e di pietre tombali poste sulle verità. I ragazzi di "Sacrificio" sono il negativo dei giovani idealisti degli anni '70, ma allo stesso tempo hanno in comune con questi il fatto di essere mortificati dagli adulti che abdicano, in un modo o nell'altro, al ruolo di guida che spetterebbe loro.
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